“L'attivazione delle risorse individuali per il progetto di vita”
Sintesi relazione di Riziero Zucchi, Riviste "Handicap & scuola" e "Scuola e didattica".1° convegno nazionale ARISM – FADIS
“Disabilità: dall’integrazione scolastica all’inserimento
lavorativo”.
Ancona, 9 marzo 2002
“L'attivazione delle risorse individuali per il progetto di vita”
Educazione o riabilitazione? La medicalizzazione dei bisogni educativi
Troppo spesso nel processo di integrazione di un disabile l’educazione è confusa con la riabilitazione: all’interno della scuola si fa educazione.
L’handicappato entra all’interno della classe con una diagnosi, ma questo non è né integrazione né inserimento, si chiama “medicalizzazione”. E’ importante riprendere quanto sosteneva Mario Tortello affermando che la pedagogia purtroppo è fuori moda, perché è in ribasso la visione educativa della persona, mentre sta avanzando la medicalizzazione dei bisogni educativi.
Il ruolo portante della pedagogia è supportato anche dagli studi di Vygotskij, che risalgono agli anni ’30 (distinzione tra funzioni mentali elementari e funzioni mentali superiori: le prime dipendono dai sensi, mentre le seconde dipendono dalla socializzazione).
Uno dei maggiori errori della medicalizzazione è stato quello di affrontare l’educazione, specie dei gravi e dei gravissimi, sugli elementi elementari: si fa contare il disabile fino a 10, gli si fa distinguere una superficie colorata, ma questo è estremamente riduttivo, perché è sollecitato solo da stimolazioni sensoriali, quindi le capacità intellettive non potranno progredire.
Quindi abbiamo degli strumenti scientifici che giustificano fino in fondo l’integrazione in classe.
Brunner porta avanti il progetto pedagogico di Vygotskij quando parla dell’intelligenza distribuita: l’intelligenza non è nel cervello , è nei rapporti che noi abbiamo con le persone , nelle mete che ci poniamo, nelle domande cui siamo sottoposti. Se vengono poste domande molto banali, legate alla sensorialità è chiaro che la persona non crescerà mai : “si può insegnare qualsiasi cosa a qualsiasi persona, a qualsiasi età, purché venga fatto in modo adatto”.
Con la medicalizzazione siamo ancora all’anno zero dell’integrazione, perché non ci rendiamo conto di una serie di capacità e di potenzialità, che vengono affrontate solo dal punto di vista riabilitativo, ma non pedagogico.
L’integrazione lavorativa a scuola
Nel 1988 grazie all’intervento di Mario Tortello e di varie associazioni, ci fu una enorme mobilitazione per far sì che l’integrazione avvenisse nelle classi normali di tutti, a prescindere dalla gravità e nonostante la tipologia dell’handicap; ma la comunità di apprendimento nella quale è inserito il ragazzo (la classe) non si può interrompere nel momento in cui lavora. Alle superiori spesso vengono costruiti percorsi che non sono integrati: il ragazzo ad un certo punto esce dalla classe e deve lavorare in situazione di non integrazione, poi ritorna in classe. Questa non è integrazione. All’integrazione scolastica deve corrispondere l’integrazione lavorativa ( es. stage integrato con tutta la classe) : la terza area deve poter essere fruita da classi integrate, disabile più compagni.
Ruolo della famiglia nel processo educativo
Alla famiglia occorre rivolgersi in modo corretto, con dignità educativa, perché i genitori sono degli esperti nei confronti del figlio ( vedi il volume curato da Pavone e Tortello “ La pedagogia dei genitori. Handicap e famiglia. Educare alle autonomie” ).
Noi partiamo dalla diagnosi funzionale, dal profilo dinamico funzionale, ma così perdiamo la dimensione pedagogica: il progetto di vita è anche un asse da percorrere sia dal punto di vista didattico-pedagogico sia dal punto di vista della famiglia.
Dovremmo riuscire a definire dal punto di vista didattico l’intervento della famiglia con un proprio documento, con una propria narrazione che si colleghi anche a quella che è la narrazione del docente e dell’equipe medica, solo allora si costruirebbe una rete di rapporti che porterebbe all’integrazione piuttosto che all’inserimento.
Orientamento
Va fatta una grossa campagna di orientamento all’interno delle medie per portare i ragazzi disabili non solo negli istituti professionali, ma anche in altre scuole, dove è maggiore la richiesta delle competenze intellettive, proprio perché, in collegamento con le indicazioni scientifiche di Vygotskij, qui possono essere maggiormente stimolati. In questo senso occorre una maggiore collaborazione tra ASL e scuola, in particolare una maggiore conoscenza, da parte dei neuropsichiatri, della scuola e di come funziona.